Caro libro, ma io chi sono?, un mio racconto dedicato alla passione per i libri

Caro libro, ma io chi sono?, un mio racconto dedicato alla passione per i libri

Il racconto “Caro libro, ma io chi sono?” è stato pubblicato nel 2024 nell’antologia “Caro libro, raccontami” di Be Strong Edizioni.

Dopo aver cenato, a casa nostra ognuno prende direzioni diverse. Mia moglie si rilassa sul divano guardando una serie TV, Andrea torna in camera sua e si attacca al computer, la piccola Alessia va a dormire e Rudi, il nostro cane, si accomoda felice nella sua cuccia. Io preferisco invece andare nello studio con un bicchierino in mano dove faccio diverse cose, dipende dalla serata: a volte navigo in internet, a fine mese verifico i conti di casa, ma soprattutto ascolto musica o leggo, il passatempo a cui dedico più tempo, cosa che chiunque entri in quella stanza capisce immediatamente vedendo la montagna di libri che mi sta sempre più seppellendo.
Stasera ho invece voglia di meditare, ogni tanto mi capita anche di voler ripensare alla mia vita. Mi sono quindi seduto in poltrona, il bicchierino sul tavolino di fronte a me, e cerco di ricostruire vicende, dare significati, fare bilanci. Inevitabilmente, però, finisco col perdermi e vago e vago e vago ancora con la mente finché non comincio a concentrami su qualcos’altro. Provate a immaginare cosa: le pile di libri che stanno di fronte a me.
Non è vero che sono in disordine, così pensano gli altri che non li hanno vissuti. C’è un ordine, ma lo conosco solo io, perché tra quelle pagine si è dipanata la mia vita le cui fasi corrispondono ai diversi strati con i quali li ho accumulati. Laggiù in basso, ormai seppelliti da tanti altri, ci sono i libri che leggevo da bambino, sorridono da tutte le pagine; subito sopra, quelli di quand’ero ragazzo, fieri delle loro avventure; là, alla base di un’altra pila, quelli di quando andavo all’università, ponderosi, affaticati e sformati da tutto il contenuto che per anni hanno dovuto portare di aula in aula e poi, più su, i romanzi letti negli anni degli amori giovanili, spesso morbidi e affettuosi ma a volte molto imbronciati. Me lo ricordo ancora a memoria l’incipit di uno di quest’ultimi, me l’aveva regalato una ragazza che lasciai in malo modo. Ho pensato più volte di buttare quel libro, mi vergognavo di lui, ma non l’ho mai fatto, era anch’esso parte di me. L’ho solo un po’ nascosto, sta sotto a uno più grande che non permette di leggere il titolo a chi sta in piedi. In questo modo, lo vedo sempre quando sono seduto in poltrona o alla scrivania, ma gli altri, che entrano ed escono in fretta dalla stanza, non lo notano.
Ad un tratto il mio sguardo si posa su un libro che mi fa sussultare. Sì, è lui, lo leggevo quando avevo vent’anni, a grandi linee me lo ricordo ancora, non posso far finta di ignorarlo. Molti squarci del mio mondo sono nascosti in tanti altri volumi, ma in quel libro c’è di più. Mi impressiona usare l’espressione senso della vita ma forse in questo caso è proprio così, il mio è in quel libro sulla mensola in alto a sinistra.
Mi alzo e vado a prenderlo. È ancora in buono stato, nonostante tutto quello che gli ho fatto passare, su e giù, di qua e di là, e anch’io mi sento meglio. Se sta bene lui sto bene anch’io.
Non sono mai stato un grande appassionato dell’estetica dei libri. Riconosco quando uno è ben impaginato e in vita mia ho anche ammirato diverse copertine, ma nel profondo sono essenzialmente un divoratore di parole. Se fiuto che in quelle pagine c’è qualcosa di importante, di significativo per me, non indugio nella contemplazione dell’oggetto ma mi butto a capofitto nel testo, divoro i capitoli, mastico avidamente le frasi e digerisco tutto bene e in fretta. Così è stato con lui. Me lo ricordo ancora il giorno in cui lo ricevetti in regalo da mio padre. Capii subito che fra lui e me ci sarebbe stato un feeling particolare e mi immersi nella lettura perdendo il contatto col mondo, fino a quando, dopo aver sperimentato una sorta di orgasmo del lettore, non giunsi all’ultima pagina e mi abbandonai sul letto, sognando a occhi aperti. Poi, negli anni immediatamente successivi, lo ripresi più volte, portandolo spesso con me. È stato uno dei miei amici più cari e a differenza di alcuni umani non mi ha mai tradito.
Sono però passati tanti anni, ormai, e ora che l’ho di nuovo fra le mani non sento più la necessità di divorarlo, lo posso guardare con calma, ammirando l’elegante copertina rigida con l’immagine stilizzata di un uomo con una valigia in mano e sfogliando le pagine lentamente e con delicatezza.
È un libro di viaggi, l’ha scritto non un letterato professionista, ma uno che aveva negli anni girato il pianeta in lungo e in largo e che aveva pertanto tanto da raccontare. Ogni capitolo è una tappa, una città o una nazione dove ha vissuto abbastanza a lungo da poter descrivere le bellezze dei luoghi, il carattere e i costumi degli abitanti, i loro problemi e drammi collettivi e fare anche delle conoscenze. Femminili, voglio dire. Mi ha fatto sognare e così facendo mi ha pure plasmato, mandandomi un messaggio prezioso: lo puoi fare anche tu, anche se hai pochi mezzi, ma devi usare l’ingegno. E io gli ho dato retta, ho cercato un lavoro che mi portasse altrove, in luoghi lontani, e in tal modo ho anche guadagnato a sufficienza per viaggiare ancora. Ti ringrazio, caro libro, per avermi spronato in tal senso e oggi avrei anch’io tanto da raccontare se solo volessi scrivere, ma faccio tutt’altro nella vita.
Mi siedo alla scrivania. Sento in questo momento il desiderio di rileggerti almeno in parte, ma non con la furia di sapere che mi divorò quando avevo vent’anni quanto piuttosto per la gioia di rivivere alcune esperienze dell’autore che hanno contribuito a formarmi e che sono vive in me anche oggi che di anni ne ho cinquanta. Parto dunque con te, lascio l’Italia delle prime pagine e raggiungo il capitolo su Praga.

Camminavo lentamente fra le case del centro. Ero stato nel quartiere ebraico e le tragiche memorie in esso custodite mi avevano scosso. Sconvolto nel vedere un’intera, laboriosa comunità annientata dalla ferocia scientificamente organizzata dei nazisti, avevo ora bisogno di svagarmi, di riacquistare serenità. Giunsi in breve tempo nella piazza della città vecchia e rimasi incantato da così tanta bellezza. Mi colpirono in particolare la chiesa di Santa Maria di Tyn, con i suoi pinnacoli gotici a fare da sfondo ai palazzi rinascimentali, barocchi e rococò, e il Municipio, col suo incredibile orologio astronomico, e da lì continuai a visitare la città con amore, in uno stato simile all’ebrezza, oltrepassando il ponte Carlo e salendo su fino al castello che domina la città. Mi riconciliai in tal modo con l’essere umano, capace non solo di essere malvagio ma anche di raggiungere il sublime, e d’allora in poi, visitando luoghi ricchi di testimonianze del passato, percepii l’arte come un antidoto alla crudeltà della storia.

Prendo una matita, odio macchiare in modo indelebile un libro, sottolineo la frase e sopra a destra scrivo senso della storia e amore per il bello. Ecco due pilastri della mia vita radicatisi in me leggendo quelle pagine!
Mi soffermo a guardare con piacere quell’appunto ma ben presto comincio a scalpitare. Non posso continuare a leggere il libro in ordine sequenziale, voglio rapidamente passare ad altri capitoli per rintracciare le emozioni che mi aveva a suo tempo trasmesso.
Apro una pagina non del tutto a caso e mi ritrovo in Sud America.

L’unico locale ben tenuto del paese era un vecchio battello arenatosi sulla sponda del fiume tanto tempo addietro, adattato a bar e sala da ballo. Quando vi entrai e salii su quello che era stato il ponte, vidi un posto libero proprio dal lato rivolto verso quell’enorme massa d’acqua che, lenta e limacciosa, si faceva strada verso il Mar dei Caraibi. Lo raggiunsi in fretta, non volevo lasciarmelo scappare, mi sedetti e guardai il fiume. Notai subito un’esile piroga che cercava di raggiungere la riva lottando contro la corrente con a bordo una famiglia carica di frutta esotica da portare al mercato e sugli alberi alla mia sinistra sentii urlare delle scimmie. Tutto ciò mi affascinava enormemente, ma in quel momento non come la splendida mulatta seduta proprio di fianco a me, scalza, le gambe snelle e nude fin sopra le ginocchia, il vestito sgargiante e vaporoso, lo sguardo luminoso e i folti capelli ricci. Lesto le offrii una caipirinha, lei il suo sorriso smagliante e la complicità di un nome: Carmen. In quel mentre, un vecchio stereo diffuse una musica caraibica da due gracchianti altoparlanti. Cominciavano le danze e Carmen, come se reagisse a un richiamo, si alzò di scatto facendomi segno di seguirla e io, già invaghito di lei, inseguii i suoi fianchi flessuosi fino al centro della pedana.

Riprendo la matita in mano. Sottolineo diligentemente col righello quel testo e scrivo curiosità per il nuovo, esotismo, voglia di vivere.
Poi, senza esitare, salto subito a un’altra pagina atterrando nel capitolo dedicato al Sud Africa dove mi colpisce questa frase:

Arrivai di buon’ora a Stellenbosch, una bella città circondata dai vigneti e ricca di edifici coloniali, di bei viali alberati e di ville eleganti. I bianchi che l’abitavano affollavano i tanti bar e ristoranti e davano party nei loro curatissimi giardini, ovunque serviti da neri. Quest’ultimi, però, una volta finiti i turni di lavoro, tornavano su vecchi, scomodi e torridi treni nelle fatiscenti e sovraffollate baraccopoli dov’erano segregati e che erano ammassate subito fuori Città del Capo.

Afferro con rabbia la matita ma nella foga mi dimentico del righello e così sottolineo la frase in malo modo, scrivendo poi in grande odio il razzismo! in alto a destra.
Sto per saltare altrove, con l’agilità che ti da un libro di passare da un continente all’altro, quando mi viene in mente un’altra frase che so nascondersi in quel capitolo e che a vent’anni aveva svegliato in me lo spirito d’avventura. In pochi secondi la trovo.

Dopo essersene allontana per un lungo tratto tortuoso, la strada si era nuovamente avvicinata all’oceano che sotto la sferza continua del vento appariva minaccioso. Svoltata l’ennesima curva, un’infinita distesa d’acqua blu cobalto increspata dalle onde apparve su entrambi i lati, mentre il paesaggio, fatto di aspre e nude montagne, diventava sempre più grandioso e selvaggio, persino apocalittico. La terra stava per lasciare definitivamente il passo all’oceano. Fermai la macchina e scesi. Il vento era fortissimo e a fatica riuscivo a proseguire a piedi, mentre famelici e insolenti babbuini mi giravano intorno pretendendo del cibo. Giunsi in un punto dove il sentiero si biforcava. A destra scendeva al mare, a sinistra saliva al faro. Era la fine dell’Africa! Davanti ai miei occhi, in un’eterna, titanica lotta, le onde dell’oceano Atlantico lottavano con quelle dell’Indiano fra lo stridio degli uccelli e in un turbinio di schiume. Avevo raggiunto il Capo di Buona Speranza.

Nuovamente in pace con me stesso, rileggo con calma il testo mentre lo sottolineo e scrivo esplorare in bella calligrafia. Ma è già il momento di fare un altro balzo, questa volta davvero a caso e senza riflettere, e in un attimo sono nuovamente in America, ma in quella del Nord, a Seattle.

Questa notte ho fatto l’amore con Betty, ma non ho sentito come nostro il suo letto caldo, non ho sognato di dormire sotto i suoi soffici piumini, non ho voluto aspettare il caffè bollente che mi avrebbe offerto la mattina dopo. Ho solo sfruttato la situazione, il suo desiderio di vivere una storia d’amore, ma una volta finita la cena e consumato il sesso mi sono rivestito in fretta e me ne sono andato a tarda sera come un estraneo, senza tentennare davanti ai suoi occhi imploranti, e ho poi dormito tranquillamente nel mio letto, dimenticandola.
Il giorno dopo, però, quando sono uscito per andare a fare un’escursione nella baia, nella cassetta della posta ho trovato un biglietto. L’aveva scritto lei!
L’ho letto all’istante:
Pensieri sconclusionati di una mente senza pace
scossa da speranze, desideri,
appagamenti e fallimenti,
paura, coraggio, fiducia.
In che direzione andare?
Come agire?
Affrontare o evitare?
… Abbi cura del mio cuore.
Betty
E bravo! – mi sono detto – Sei proprio uno stronzo.

Rimango interdetto. Perché dovrei sottolineare quel testo? Era stato forse un messaggio che a suo tempo avevo recepito? Non credo proprio, e infatti a vent’anni questa parte del capitolo sul Nord America non mi era rimasta impressa. Non sono simile all’autore, né nel suo opportunismo né nella sua tardiva presa di coscienza del male che il suo comportamento disinvolto poteva causare. Altri sono stati a suo tempo i miei turbamenti, lo so bene.
Non sottolineo dunque l’intero testo, ma solo una riga: … Abbi cura del mio cuore e in cima alla pagina scrivo groviglio di sentimenti e passioni (?) intendendo con quel punto di domanda fra parentesi il fatto che il libro mi aveva solo indicato a cosa sarei potuto andare incontro, in un ruolo o nell’altro, ma non ciò che sarei diventato per davvero.
Chiudo il libro e vado in sala da pranzo a riempire il bicchierino. Sono indeciso sul da farsi, le parole di Betty mi hanno scombussolato. Cammino un paio di volte su e giù per la stanza ma poi torno alla scrivania deciso a continuare. Lo riapro, vado nuovamente a caso e approdo nel Sud Est asiatico, in Vietnam e Cambogia.

Attraversando la città, la cosa che più mi colpì non fu tanto l’evidente povertà della popolazione, né l’indubbio folclore che avevo visto al mercato, ma il gran numero di persone che portavano sul loro corpo i segni di ciò che era accaduto. Uomini e donne ancor giovani vagavano per la strada, chi senza un braccio, chi privo di gambe, chi ridotto al solo tronco. Alcuni erano anche sfigurati. Le mine, ordigni feroci e vili, avevano trasformato in poveri mendicanti, il cui unico sogno era quello di ottenere una protesi in futuro, una o forse due generazioni di contadini, braccianti e anche studenti. Vittime innocenti, colpiti nel modo più subdolo, non al fronte, ma mentre raccoglievano il riso, aravano il campo, andavano a scuola.

Com’è vera quella frase! Mi ricordo molto bene che, spinto dalla lettura di questa e altre pagine, andai anni dopo a vedere quei luoghi e solo in quel modo riuscii a capire davvero il dramma che rappresenta la guerra per la gente comune.
Sottolineo la frase calcando con la matita ben più del solito e in alto a destra scrivo L’uomo è un animale feroce, dobbiamo evolvere o ci distruggeremo, sottolineando pure quella.
Mi fermo un attimo prima di proseguire. Il libro che ho fra le mani mi ha trasmesso dei messaggi importanti, ma devo ammettere che le ultime frasi che ho letto mi hanno intristito. Non è colpa sua, ovviamente, ma degli esseri umani, rimane però il fatto che se interrompessi in questo momento la ricerca di frasi significative mi rimarrebbe nell’animo una profonda amarezza. Ma non deve finire così! La mia vita, ispirata da quel libro, è stata ed è in larga misura bella, ricca di momenti felici, e voglio pertanto trovare una frase che crei un giusto equilibrio. Questa volta non sfoglio quindi le pagine a caso ma punto dritto verso una che ancora mi ricordo vagamente e che descrive un’isola tropicale baciata dal sole e dalla bellezza.

La spiaggia era una lunga mezzaluna di un bianco immacolato che, protetta alle spalle da un rigoglioso palmeto, si affacciava su una laguna di un azzurro abbagliante. C’ero giunto dopo aver trascorso un giorno e una notte molto intensi. Avevo prima visitato le grotte dove i locali, arrampicandosi su scale molto precarie, andavano a raccogliere i nidi di rondine che vendevano ai mercanti cinesi, poi ero andato dopo cena in una baia remota protetta da un’associazione ambientalista. Lì, a notte fonda, seguendo la fievole luce della torcia elettrica della nostra guida, avevo visto gigantesche tartarughe marine partorire e poi ricoprire di sabbia le loro uova, ma anche dei piccoli uscire dal guscio e correre disperatamente verso il mare, insidiati dagli uccelli e dai granchi. Ora volevo però solo impigrirmi in quel luogo magico e mi deliziavo bevendo un cocktail accompagnato da un variopinto piatto colmo di mango e papaya tagliati a fette e di frutti della passione e del drago aperti a metà. Avrei poi passato il resto della giornata nelle calde acque della laguna, con maschera, boccaglio e macchina fotografica subacquea, a immortalare i variopinti pesci tropicali. Ero felice.

Non ci sono dubbi, questa pagina è stata come una ventata d’aria fresca per me. Mi sento sollevato e rivivo i tanti bei momenti che ho vissuto, tenendo ben presente che si nasce per capire se stessi e ciò che ci circonda, per lottare per i propri diritti e per trovare un proprio spazio, ma anche per cercare di raggiungere il piacere e la felicità.
Ecco le due parole da scrivere in alto a destra! Piacere e felicità.
Non perdo tempo e lo faccio subito e solo dopo mi ricordo di sottolineare il testo. Rinfrancato, decido allora di cercare un’altra pagina e atterro senza fatica in una metropoli del Nord Africa.

Avrei voluto visitare più a fondo la città, la cui lunga e complessa storia mi affascinava, ma non riuscivo a soddisfare appieno questo mio desiderio a causa della miseria che mi circondava. Non si può essere felici fra chi soffre. Tante erano quindi le occasioni in cui mi vergognavo di essere lì, ben pasciuto occidentale in cerca di emozioni, ma fra tutte, quelle che mi turbavano di più erano le volte in cui vedevo dei bambini lavorare per qualche soldo, se non addirittura gratis. Dalla finestra dell’albergo mi era capitato di vederne alcuni di forse neanche dieci anni raccogliere la spazzatura all’alba e avevo anche notato molti ragazzini trainare carretti pesantissimi lungo strade sporche e inquinate. Una volta ero poi entrato in una bottega di tessuti, nel cui vetusto e malsano stanzone sul retro ragazzine in età scolare svolgevano mansioni pericolose senza nessuna protezione. E pensare che quello era un paese dove la casta al potere viveva sfarzosamente in ville circondate da lussureggianti palmeti e protette da mura invalicabili.

Giustizia sociale, scrivo in alto a destra dopo aver sottolineato anche quel testo, ma è ormai davvero tardi e mi sono nel frattempo bevuto anche un terzo bicchierino. Comincio a pensare che devo chiudere quel libro una volta per tutte e riporlo al suo posto. Allo stesso tempo, però, vorrei meditare ancora sul senso che quelle frasi hanno avuto per me. Decido quindi di sfogliarlo rapidamente dall’inizio alla fine e ogni volta che trovo un testo sottolineato trascrivo su un foglio le parole chiave che ho scritto in alto a destra. Nel fare ciò, inserisco ogni parola in una nuvoletta che vado a collocare verso i bordi della pagina. La mia intenzione è quella di collegarle fra loro con delle frecce ogni qualvolta ci sia un legame fra l’una e l’altra, sperando di trovare tanti collegamenti che interpreterei come un segno di coerenza. Finisco così col riempire i lati del foglio con le seguenti nuvolette :

Senso della storia
Amore per il bello
Curiosità per il nuovo
Esotismo
Voglia di vivere
Odio il razzismo!
Esplorare
L’uomo è un animale feroce
Dobbiamo evolvere o ci distruggeremo
Piacere
Felicità
Giustizia sociale

Rileggendole, noto con piacere che emerge effettivamente la mia figura in modo coerente: istruito e curioso, pacifista, amante del bello e convinto che nella vita sia legittimo cercare il piacere e la felicità, ma anche pieno di buone intenzioni nei confronti dei diseredati del mondo. Per loro vorrei una vita migliore e più giusta, ma mi sento frustrato. Cresciuto in un paese che da quando sono nato è sempre stato in pace e dove mi è sempre stato possibile vivere decorosamente, fatico a immaginare soluzioni concrete che risolvano i loro problemi.
Nel momento in cui giungo a questa conclusione, capisco subito che il mio esercizio ha un grosso limite. Vorrei cominciare a tracciare i legami che uniscono quei vari aspetti di me, ma mi rendo conto che per dare loro un senso ci vorrebbe in mezzo alla pagina un centro nel quale dovrebbero fondersi, che però al momento non c’è.
E cosa dovrebbe essere quel centro?
Il mio Io, mi viene spontaneo di pensare, un qualcosa di più grande e complesso della somma delle parti, che non si limiti ai miei ideali e alle mie opinioni, ma che esprima la mia anima, l’essenza stessa di me.
Ma io chi sono?
Disegno una nuvola più grande in mezzo alla pagina e vi inserisco l’unica frase che non avevo trascritto:
Groviglio di sentimenti e passioni (?)
è l’espressione giusta, quello è il centro, l’anima, il mio Io, ma fra parentesi c’è il punto di domanda. Il libro ha infatti plasmato i miei comportamenti pubblici, ha posto le basi per le mie convinzioni sociali e politiche, ma non ha svelato che essere umano sono davvero, quali sogni e quali angosce agitino la mia mente.
Scruto ansioso le pile dei miei libri. Probabilmente fra di loro se ne celano alcuni che descrivono una psicologia molto simile alla mia. In effetti, mi ricordo di aver letto in passato pagine che mi avevano colpito in tal senso, ma nessuna in maniera tale da provare la sensazione di essere stato messo davvero a nudo. Rimango pertanto deluso, speravo di ottenere di più stasera, ma dopo non molto nella mia testa balena un’idea.
Il libro che scavi nel mio sentire più profondo, che sveli chi sono davvero, che parli delle mie angosce e dei miei sogni, che provi a dipanare il groviglio dei miei sentimenti e delle mie passioni, lo posso scrivere solo io!
E già la mattina dopo, davanti al computer, immemore del fatto che in quel momento dovrei fare tutt’altro per vivere, comincio a scrivere.
Inizia così la mia nuova vita.

 

 

Commenti al blog o a singoli post potranno essere inviati compilando questo modulo:

     

     

     

     

     

    Condividi